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CAMBIO DI STILE di Carlos Liscano |
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data e ora |
lunedì 5 marzo 2012 ore 21.30 - 22.30 |
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luogo |
Teatro manhattan
via del boschetto 58, Roma
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informazioni |
HUMANIDAD è un progetto teatrale che racchiude tre brevi monologhi dell'autore uruguaiano Carlos Liscano.
Cambio di stile, L'uomo del fucile e Il confidente presentano situazioni diverse. Cambio de estilo (Cambiamento di stile), un gioco ironico, in cui il personaggio arriva ad un punto della sua vita in cui è chiamato a fare una scelta decisiva: conviene continuare ad essere un idiota o è meglio diventare un hijo de puta? Il suo racconto ha l’ossessività di un disco rotto e ossessivi sono i suoi gesti da clown stralunato. Ne El escopetero (L’uomo col fucile), attraverso la rappresentazione di un uomo alla deriva, si parla di un fallimento che non è solo individuale, ma anche generazionale. Nella delirante sfilata di personaggi evocati dall’Uomo col fucile - una categoria umana senza più nome - troviamo deformata un’esigenza di giustizia.
Questo essere che si sente inutile e di troppo sul pianeta, si è costruito un illusorio strumento di rivalsa: il fucile mentale, che gli permette di eliminare col pensiero tutto ciò che non gli va. Ed è nel fragore delle fucilate mentali che si consumano le sue giornate senza possibilità di soluzione.
El informante (Il confidente) propone una situazione in bilico fra realtà e illusione per un prigioniero, che deve stendere dei rapporti se vuole
sopravvivere. Non importa cosa deve scrivere, l’importante è che scriva. Così attraverso le sue “Composizioni” può crearsi un mondo parallelo, in cui
anche la masturbazione diviene un motivo comico, e in cui ha la libertà di affermare che questo paese è una merda.
Parlare con se stesso
Nel 1981 scrive il suo primo romanzo, La mansión del tirano; questa prima versione è sequestrata
dalle autorità. La seconda è del 1985, quando può uscire dal carcere grazie all’ultima amnistia che
libera gli ultimi prigionieri politici nel suo paese. In carcere scriverà ancora un romanzo, molti
racconti e poesia, opere che saranno pubblicate successivamente in Svezia, dove Liscano vivrà poi
da esule per dieci anni.Eppure lo scrivere non è solo per lui un’elaborazione letteraria del proprio
vissuto, neanche solo un tentativo di fuga o un atto di resistenza. Senza trascurare, naturalmente la
denuncia come dato implicito della sua letteratura, bisogna considerare lo scrivere soprattutto come
volontà di dare una svolta creativa al dolore e vincere la repressione opponendo ad essa la propria
fertile esistenza.In carcere le parole acquistano un valore diverso da quello che hanno nel loro uso
normale; il tentativo di impedire la parola tra i prigionieri e negare ogni forma di comunicazione, è
un altro aspetto della tortura, significa reprimere uno dei fondamentali atti dell’essere umano.
Reprimere la parola risponde al tentativo di ridurre le persone ad una condizione animale. Nella
quotidianità del carcere ogni parola, anche la più banale, diventa prezioso simbolo humanizador.
Nella traduzione bisogna tener conto di questo; lavorando su questa drammaturgia, si capisce che
qui la scelta di ogni parola non è mai casuale, sottende a volte l’urlo, a volte un sussurro, una
smorfia, un’esitazione piena di pudore, riassume uno stato fisico, supplisce anche alla negazione e
all’umiliazione del corpo. Elementi questi che devono essere poi indicati e riconsiderati da chi
interpreta queste parole, costruendo una situazione scenica spoglia di elementi scenografici e tutta
invece, concentrata sul personaggio, in equilibrio fra il dramma e la beffa.Sì, perché c’è un altro
elemento, forse il più importante che caratterizza questa scrittura: l’umorismo vissuto come
salvezza, come disposizione per superare emotivamente uno stato drammatico. L’autore,
prigioniero, ride di se stesso, rivede la sua vita in chiave comica e con questo stesso strumento ride
dei suoi carcerieri, del loro agire, del loro linguaggio, della loro sinistra retorica. Liscano sa creare
così situazioni drammaticamente divertenti con tono dissacrante e assurdo. E’ stato detto che
Liscano come autore non si è liberato dalla prigione (Oscar Brando, Carlos Liscano: la poética de la
soledad, ed. Deslindes), e certamente è un autore che si confronta continuamente con la sua
solitudine. Per chi da troppo tempo è stato abituato a parlare solo con se stesso, è quasi inevitabile.
Anche il ritorno alla libertà comporta un processo di sofferta integrazione, che si compie attraverso
un percorso solitario:Uscendo dal carcere mi sono reso conto di alcune cose, alle quali non avevo
mai pensato. Ho capito che la società rispetta lo spazio che uno ha saputo guadagnarsi. Il lavoro
che siamo riusciti ad ottenere, la famiglia che ci siamo creati, le amicizie che coltiviamo, la casa e i
vicini che abbiamo. E io non avevo niente. (…) Non c’era niente che avessi creato io. Ero ad un
livello zero. Ero come un bambino ma non lo ero. Avevo 36 anni compiuti, e inoltre ero considerato
una persona che aveva una certa posizione politica. Ma io sentivo che non era così. Sentivo che
non potevo avere opinioni politiche senza avere una vita. (…) Io mi sentivo debole, molto fragile.
Per attraversare la strada, mia sorella doveva prendermi per mano. Non sapevo usare i soldi. Una
volta per pagare l’autobus ho tirato fuori ventimila pesos. Non sapevo usare il telefono pubblico.
Non avevo documenti, non avevo casa, non avevo un lavoro. (Dall’intervista Quizas yo mismo
llegue a ser mi casa di M.E.Gilio in Brecha, 18.08.1989, traduzione di Fernanda Hrelia.)
L’ipocrisia della società
Liscano, dai suoi esordi di narratore e poeta, “scopre” il teatro in Svezia; lavora come assistente alla
regia presso il Teatro Reale e Nazionale di Stoccolma. Le sue prime opere teatrali saranno messe in
scena in Svezia, prima di essere rappresentate e premiate in Uruguay, Argentina, Francia e Svizzera.
La dimensione teatrale lo porta a creare una situazione fisica e spaziale molto concreta per i suoi
personaggi di emarginati, che, come moderni pícaros, dai margini criticano ed evidenziano le
incongruenze e le ipocrisie della società che li esclude, e, dal punto di vista personale il teatro gli
permette di rapportarsi con gli altri in maniera diretta, con gli interpreti dei suoi testi e con un
pubblico presente alla rappresentazione di queste storie. L’autore non è più solo.Come anche nella
sua narrativa, i personaggi del suo teatro hanno un’identità scissa; hanno vissuto la perdita
dell’autostima, si misurano con frustrazioni continue, ma non hanno perso la coscienza critica. Il
margine è inevitabilmente il loro spazio, uno spazio-discarica dove a volte il personaggio, vittima
dell’esclusione, si ripiega ma da dove anche osserva e giudica.
Sono insomma Realtà immaginarie quelle di questi
personaggi che si muovono in situazioni paradossali ma verosimili, figure di marginali dai tratti
realistici e grotteschi al tempo stesso.Della sua drammaturgia vorrei ancora ricordare Los idiotas
dalle atmosfere beckettiane, Mi familia, in cui una famiglia oppressa dalla miseria è costretta a
vendere via via i membri del proprio nucleo famigliare per comprare frigoriferi e televisori, Retrato
de pareja sull’incomunicabilità nella coppia, formata da una donna e da un fantoccio.E’ anche per
avere un’idea più completa e reale delle molteplici e diversificate esperienze letterarie,
drammaturgiche, teatrali e artistiche del continente sudamericano, che sarebbe auspicabile la
traduzione e la diffusione delle opere di Carlos Liscano, originali testimonianze di una personalità
ricca di esperienze e fantasia, intelligente interprete delle assurdità e delle atrocità dei nostri tempi.
CARLOS LISCANO. Nato a Montevideo nel 1949, è arrestato nel 1972 e detenuto per reati politici. Esce dal carcere nel 1985 e si trasferisce in
Svezia, dove vive fino al 1996. Comincia a pubblicare dal 1987; esce la raccolta di racconti El método y otros juguetes carcelarios, il romanzo La
mansión del tirano e il libro di poesie ¿Estará no más cargada de futuro?, opere queste concepite durante la lunga prigionia. Vengono pubblicate
successivamente Memorias de la guerra reciente, romanzo del 1988 (Premiato dall’Istituto Italiano di Cultura di Montevideo) e i racconti Agua
estancada y otras historias (Premio Nazionale della Critica Uruguayana).In Svezia lavora come assistente alla regia presso il Teatro Nazionale e il
Teatro Reale di Stoccolma; tornato in Uruguay lavora come giornalista a El País Cultural e al Semanario Brecha di Montevideo, qui fonda e dirige la
rivista Papeles de Montevideo. E’ direttore letterario delle “Ediciones Trilce” e attualmente vive tra la Spagna e l’Uruguay.Tra il 1993 e il 2000
pubblica il romanzo breve Una pequeña historia policial, le raccolte di racconti El Charlatán (Menzione al Concorso di Narrativa indetto dalla città di
Montevideo), El acompañante, Versiones, Hombre con paraguas, El informante, il libro di poesie Miscellanea observata, il romanzo El camino a Itaca
(Premiato dal Ministero della Cultura dell’Uruguay). Intensa anche la produzione di testi teatrali, quasi tutti pubblicati, rappresentati e tradotti: El
informante, Retrato de pareja, Cambio de estilo, La subvención, Los idiotas, Mi familia (Premio per il Teatro della città di Montevideo), Un
ciudadano que trabaja y cumple con su deber, El escopetero. Alcuni testi sono stati messi in scena in Europa, in Francia, dove ha partecipato a diversi
festival, in Svezia, in Svizzera oltre che in Uruguay, Argentina e Guatemala.In italiano sono stati tradotti: Mi familia, nell’ambito della manifestazione
“Oltre Babele Euramerica, Incontri con la traduzione drammaturgica contemporanea latino americana” (Firenze 1998- traduzione di Elina Patané), El
escopetero, Cambio de estilo e El informante.
FERNANDA HRELIA. Attrice e regista. Diplomata alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano e laureata in Lingue e Letterature Straniere Moderne all'Università di Trieste(Ispanista), ha pubblicato in Italia e all'estero studi sul teatro latinoamericano e ha tradotto testi di importanti autori argentini. Ha preso parte al progetto “Oltrebabele Euramerica” del Centro Internazionale di Scrittura Drammaturgica di Firenze per la traduzione e la diffusione della drammaturgia sudamericana contemporanea in Italia.
ELISA FARINA. Palermitana, diplomata al liceo Classico e laureata in lingue e letterature straniere presso l'università degli studi di Palermo; frequenta la Scuola di Teatro “Teatés” di Palermo. Cura numerose regia per il teatro Lelio di Palermo ed è direttrice artistica del Nuovo Piccolo teatro di Palermo. E' Vincitrice della I edizione del concorso nazionale di scrittura creativa “Una lettera d?odio e di protesta” di Pescara, è Membro della Giuria del III Premio Letterario “Borgo Nuovo” ; ha collaborato con “L'eco del Mediterraneo” come giornalista e scrittrice.
ENRICO BERGAMASCO. Nato a Trieste, figlio di operai, debutta in teatro al Mittelfest di Cividale del Friuli nel 2004, si forma
professionalmente alla scuola di Giovanni Poli di Venezia diretta da Riccardo Bellandi dello Stabile di Genova, alla scuola di teatro affianca seminari
con Judith Malina del Living Theatre, Gabriele Vacis, Danio Manfredini, Emma Dante, Raul Iaiza, Michela Lucenti, Carlos Maria Alsina, Eugenio
Allegri, Mamadou Dioume e Yoshi Oida, Serena Sinigaglia, Michele Abbondanza, Cesar Brie, Maria Consagra, Lena Lessing, Carolyn Carlson,
Robert Castle e Michael Margotta, Cristina Pezzoli e Letizia Russo, Beatrice Bracco, Peter Clough, Ivan Franek e Stefania Desantis gli insegnanti che
incontra nel percorso di formazione in Italia e all'estero; presso l’Accademia dei filodrammatici di Milano studia con Paola Bigatto e Ambra D’amico
e presso la Civica Nico Pepe di Udine con Sergio Pierattini, Luca Vendruscolo, frequenta la scuola europea per l’arte dell’attore di San Miniato dove
studia con Ugo Chiti, con Massimiliano Farau e Jeff Crocket, il festival di training teatrale Methodika di Venezia diretto dal russo Jurij Alschitz dove
segue le lezioni del lituano Rimas Tuminas, il laboratorio della Biennale teatro di Venezia diretta dallo spagnolo Alex Rigola assieme a Rodrigo
Garcia; a questi affianca studi universitari sul cinema con Roberto Nepoti e sul teatro con Antonio Calenda presso L’università degli studi di Trieste
dove nel 2004 segue anche un corso con il direttore della fotografia e premio Oscar Dante Spinotti. Nel 2004 vince una borsa di studio presso la
scuola di cinema Sentieri Selvaggi di Roma diretta da Demetrio Salvi. Nel 2009 Si diploma presso la scuola dello Stabile di Trieste diretto da
Antonio Salines e Francesco Macedonio con un saggio su Cechov; è finalista nel 2008 del premio Tangram teatro per attori e attrici di prosa a Torino;
nello stesso anno vince il premio Hisa film nella maratona cinematografica 6x60 Makingo con il cortometraggio “Carry on”; nel 2010 è vincitore
assoluto del primo concorso nazionale di lettura espressiva a Parma, dove riceve il premio del pubblico e della giuria presieduta da Valeria Ottolenghi.
A teatro è stato diretto da Luisa Vermiglio, Riccardo Bellandi, Judith Malina,Gary Brackett, Francesco Macedonio, Francesco Accomando per il Css
teatro Stabile di Innovazione di Udine, Deda Cristina Colonna, Stefano Trespidi, Gabriele Lavia, Maurizio Zacchigna; nel 2009 debutta alla Biennale
Internazionale del teatro di Venezia diretta da Maurizio Scaparro con lo spettacolo “Capitano Ulisse” di Alberto Savinio per la regia di Giuseppe
Emiliani con Antonio Salines, e Edoardo Siravo; nello stesso anno debutta al Plautus Festival di Sarsina in “Asinaria” di Plauto. Al cinema è stato
diretto da Gianluigi Calderone, Luigi Perelli, Liliana Cavani, Sigi Rothemund, il regista albanese Gjerg Xhuvani Giovanni Ziberna e Valeria Baldan.
Nel Dicembre 2010 scrive il cortometraggio "L'uomo coi tagli"che lo vede anche come co-protagonista assieme a Werner di Donato per la regia di
Simone Vrech; lavora per il programma "Stracult" per la mostra de cinema di Venezia 2011.. |
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