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  “Non Rubare”, un’emozione continua!
Tutto esaurito e applausi meritati per la sceneggiatura di Irene Canale e la Regia di Carlo Dilonardo.
       
 
       
 
Si dice sempre che non bisogna giudicare un libro dalla copertina, ma in questo caso se si giudica lo spettacolo dalla preziosa locandina si capisce già a cosa si va in contro: un’esibizione degna di questo nome, grazie anche alla buona regia di Carlo Dilonardo.
Infatti “Non rubare”, scritto da Irene Canale, è una commedia che ti prende subito, complice anche la dimensione del Teatro Stanze Segrete in Trastevere, trasmette forti emozioni e ti trascina nella spazio vitale dei fratelli Già, Giù, Tutù e Tatà.
I quattro fratelli vivono in una condizione di povertà assoluta. Il primo ad entrare in scena, canotta e palletta alla mano stile primissimo Rocky è Già, interpretato da Carmine Balducci, che corpulento e prepotente trascina letteralmente in scena il fratellino Giù legato come un cane. La durezza delle scene, la frustrazione della condizione in cui si trovano a vivere, si manifesta con violenza in un tutti con e contro tutti, soprattutto a spese del piccolo Giù, interpretato con sapienza da Francesco Vallei.
Unico luogo di rifugio è il box per bambini, in cui nei momenti più difficili si lanciano a turno, ma in fondo neanche li trovano pace: le liti per la divisione del cibo e su chi è più o meno bravo a rubare si susseguono di continuo.
Non bastasse ecco che fa la sua comparsa Giò (Roberto Laurieri), il quinto fratello, il quale è appena stato lasciato dalla sua ragazza, la ricca Ninì, che lo accusa di avergli rubato un prezioso bracciale. Anche qui viene rappresentato un aspetto tanto crudo quanto reale: i due fidanzati, infatti, malgrado professino il loro amore si scoprono uniti da interessi reciproci e basta. Toccante inoltre il rapporto umano e le dinamiche tra le sorelle Tutù e Tatà, rispettivamente Chiara Saiella e Enrica Nizi, straordinarie nell’interpretazione dei loro ruoli. Le attrici raggiungono in alcuni momenti altissimi livelli teatrali, coinvolgendo il pubblico anche con il solo sguardo. Entrambe unite nella lotta con Ninì, che in fondo rappresenta quello che odiano ma al tempo stesso vorrebbero in parte essere, finiranno per dividersi. Insomma sembra non esserci scampo, altri fatti terribili come l’incesto familiare e l’analfabetismo vengono denunciati, il tutto sempre con la chiave dell’ironia e dello “sfottimento” familiare. Ma alla fine una luce di speranza arriva: andarsene, cercare un riscatto personale per uscire dal quella cappa oppressiva in cui si trovano impantanati i personaggi. Alcuni ce la faranno, salutati con la frase dei fratelli abbandonati nelle orecchie: “Forse anche tu andrai lontano, forse litigherai con qualcuno, forse avrai un lavoro e anche un amore… Ma chi lo decide? Decidi tu?”.
In questo spettacolo agrodolce si piange e si ride molto, si esce e si pensa, è come un ottimo vino che lascia nel palato un’emozione.
Tutto questo turbinio di sentimenti fantastici in un’ora circa, grazie all’ottima cifra stilistica della sceneggiatura e della regia. L’unica pecca, forse, sono le musiche, poco presenti e che forse avrebbero potuto dare ulteriore forza a certi passaggi.

di Michele Centorrino
direttore@turboarte.it
   
   
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