Rodolfo Fiorenza
fotografia - di Paolo La Farina
 
 
 

Rodolfo Fiorenza se n'è andato il 29 febbraio, un giorno che non esiste, o meglio esiste solo ogni tanto.

Mercoledì 22 febbraio 2012, probabilmente, è stata la sua ultima apparizione in pubblico. Per me è un grande onore avere avuto l'opportunità di averlo come ospite e poter ascoltare, insieme al pubblico presente, di lui, del suo lavoro, della sua arte. Timido, riservato, con un'anima grande.

L'ho chiamato a fine gennaio per invitarlo a presentare i suoi lavori e a parlare delle sue esperienze ad un workshop di arte e fotografia organizzato da questa rivista TurboArte e dala fondazione Democratica.
Ha accettato subito con grande entusiasmo. Il giorno dopo ero da lui, nel suo studio-abitazione in via degli Apuli al numero 51, nel quartiere di San Lorenzo dove aveva affondato le sue radici. Uno scrigno di arte, fotografie, strumenti di lavoro, frammenti delle sue mostre, ricordi, libri. Una atmosfera ormai rara da trovare negli studi dei fotografi professionisti, un laboratorio antico di idee e progetti in evoluzione.

Non era solo un grande fotografo ma un vero artista. Proveniva dall'accademia di belle arti, ha sperimentato diverse forme artistiche, dal disegno, alla pittura, alla scultura, alle stampe d'arte ed infine la fotografia.
Aveva tanti progetti. Mi ha fatto vedere le bozze di due libri straordinari sulle sue opere, si stava impegnando per trovare l'editore giusto che sapesse valorizzarli.

Poi, sorseggiando due tazze di tè verde di rara qualità che mi ha voluto fare assaggiare, ho cercato di farlo parlare di lui, così timido e riservato.

A proposito dei suoi straordinari ritratti di artisti contemporanei (diventati celebri anche per la mostra "trentanove ritratti più uno" dell'estate scorsa al Castello di Rivara a Torino) ha detto un frase che mi ha colpito molto: "Io non faccio ritratti, non li so fare, perchè quando mi metto davanti a qualcuno per fotografarlo, percepisco il suo imbarazzo e mi imbarazzo anch'io. I miei ritratti sono in realtà estrapolazioni da fotografie scattate durante gli allestimenti in situazioni dinamiche." Questo la dice lunga sulla sua grandissima sensibilità e umiltà.

Ci eravamo conosciuti qualche anno fa, ma solo dallo scorso anno si era creato un rapporto più stretto, che mi ha permesso di capire un po' di più il suo mondo.

La sua mostra di fotografie delle mura antiche di Roma, caratterizzate da ombre profonde che si modellano sui volumi articolati delle mura, allestita al festival della fotografia di Roma lo scorso autunno, aveva avuto un grande successo. Ne era veramente contento. Me ne ha parlato con tanta fierezza.

Mi ha raccontato della mostra realizzata con la fondazione Volume! "Sulla soglia", a cui ha dedicato tanto lavoro e di cui conserva nel suo studio/abitazione il prototipo di una delle installazioni.

Si entusiasmava raccontandomi di come era riuscito a scattare la sua famosissima foto di Dennis Oppenheim, proprio nel momento in cui scoppiava un meccanismo che produceva fumo per una sua installazione ed ha catturato lo spavento dell'artista, realizzando un'immagine straordinaria.

Mi ha raccontato di come ha cercato di riprodurre l'agitazione e il continuo camminare avanti e indietro di Kounellis, mentre gli operai stavano montando le sue installazioni.

Di come ha rappresentato il divertimento di Roman Opalka nello strappare i fogli di protezione dei suoi quadri prima dell'esposizione.

Per alcune ore, con la sua semplicità disarmante anche nelle parole mi ha fatto provare vere emozioni. Quelle emozioni che sapeva mettere nelle sue fotografie.

Grazie Rodolfo. Ci mancherai.



 




 
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