Come combattere la krisis
  turbamenti - di Gian Carlo Grassi  
 
 

«Non uscire da te, ritorna in te stesso,
nell’interno dell’uomo abita la verità»
Agostino

Probabilmente sarò un po’ impopolare. Oggi che cosa è popolare? Si parla di lavoro, di precariato, di disoccupazione e di crisi: i tormenti di una società, quella occidentale, che sembra in declino e di governi, quello italiano in special modo, che sembrano non avere le forze per fare quello che devono. Da qui l’(in)attualità e le riforme, le tassazioni, gli articoli 18, i piani antidisfatta, anticrisi, i piani antipiani e la sensazione diffusissima in tutti i bar della nazione che da qui proprio non se ne esce.

Ormai è diventato troppo facile discutere delle cose che non vanno, perché sono infinite. Spesso è davvero banale. L’ottimismo è l’eresia ingiustificata che non può fondarsi su niente. Non c’è nessun criterio.

Allora io che posso fare per sfuggire al già detto? No, lo dico subito, non sarò originale. Tantomeno nel senso in cui si può pensare. Mi sono impegnato, lo giuro, in speculazioni rivolte verso futuri futuribili antiscettici, verso mondi possibili che se-magari-oggi-così e magari-domani-cosà allora-forse... Niente. Non ne è uscito niente di bello o quantomeno niente che possa sussistere.

Quello che voglio fare allora è solo affrontare la questione da un punto di vista più generale (o meno generale, dipende da un ulteriore punto di vista) perché a me sembra che il problema oggi vada oltre qualsiasi tutela del lavoro, oltre qualsiasi burocrazia farraginosa. Io ho proprio questa sensazione.

A me sembra che si tratti innanzitutto di un problema di coscienza individuale e siccome è così generalizzato mi verrebbe quasi da parlare di un problema di coscienza collettiva. Mi voglio riferire preminentemente a quelli come me, a quei giovani senza futuro di cui tutti parlano - a quelli che forse non raggiungeranno mai l’età pensionabile e che saranno costretti a farsi strada in un’organizzazione bloccata, asfittica (ma credo che in quest’analisi possano rientrare anche quei molti non-più-giovani). Quello che sembra caratterizzarci, come denominatore comune, è la lamentela.

Cosa c’è di più liberatorio di lamentarsi quando davvero sono totalmente giustificato? Benissimo. Il punto è un altro: Mi conviene? La maggior parte di noi, i più fortunati (molti), è cresciuta con l’obiettivo di avere successo e di fare carriera (di quale carriera si stia parlando non importa), di fare soldi e acquisire potere.
Ciò che sta accadendo, ovvero il mal funzionamento dell’organizzazione sociale, significa una limitazione delle nostre possibilità che si può tradurre come senso di inquietudine generalizzato.

Io credo che coloro che davvero non hanno (o non avranno) alcuna alternativa, quelli che proprio non ne possono uscire, siano pochi mentre coloro che dicono di non averne e che credono che proprio non ne usciranno, siano molti. Questa discordia io l’attribuisco a un problema di coscienza e di mancata autocoscienza, ad un meccanismo di autodifesa che sembra attuarsi necessariamente. L’esistenza spesa alla ricerca univoca di gratificazioni, potremmo dire, materiali è un rischio troppo alto che spesso (per non dire sempre) conduce al fallimento. Le sue cause poi le attribuiamo in tutta coscienza all’esterno, quando invece inconsciamente siamo costretti a fare i conti con noi stessi. Il risultato è un malessere sempre latente e spesso manifesto. Crisi, nella sua accezione etimologica (dal greco “krisis”) vuol dire scelta, decisione, è qualcosa che ha a che fare con la responsabilità.



Ecco dove voglio arrivare: è a questo scarso senso di sé che rivolgo le maggiori preoccupazioni e la mia attenzione perché quello che oggi si avverte è un senso di disagio che difficilmente verrà curato volgendosi altrove, monitorando ogni quarto d’ora la situazione dello spread.
L’autodeterminazione riguarda per prima cosa noi stessi. Non sto dunque negando che ci siano delle problematiche, anche serie, che affliggono il paese, e tutto l’occidente in generale. Voglio dire però che queste non devono essere le attenuanti per un allontanamento dalle nostre responsabilità, ovvero il privilegio di poter scegliere e il dovere di realizzarsi a prescindere: prima e soprattutto per come si è, dopo e di conseguenza per cosa si fa.

 



 
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