Mombasa è la seconda città per abitanti del Kenya dopo la capitale Nairobi, oltre che il capoluogo della rinomata Provincia Costiera ed un autentico sogno nel cassetto per migliaia di turisti da ogni parte del mondo. Seguendo l’originale denominazione dell’indigena lingua swahili, Mombasa da queste parti è per tutti “Kisiwa Cha Mvita”, che tradotto si legge come “città di guerra”. Un appellativo che rimanda alle tante battaglie e a i numerosi invasori che si sono alternati su questo spicchio di terra del Kenya meridionale, avvolto dalle acque dei fiumi Tudor Creek e Kilindini Harbour, e collegato al resto del continente soltanto da un ponte, il Nyali Bridge a nord della città, ed una strada rialzata, la Makupa Causeway sul lato ovest. Anche e soprattutto grazie alla sua posizione strategica, Mombasa si è affermata con il passare degli anni come il più importante, in assoluto, porto marittimo della costa orientale dell’Africa, autentico crocevia tra l’intero continente e l’Oceano Indiano. Ma all’ombra di una sempre maggiore esposizione commerciale e di una risonanza turistica che ormai ha raggiunto livelli mondiali, Mombasa conserva fedelmente la propria storia e la propria cultura, oltre che i segni indelebili dell’enorme incrocio di popoli che è sempre stata.
Riscontro di tutto ciò si trova negli stessi edifici religiosi che fanno da cornice alla parte antica della città, la Old Town. Chiese cristiane che si mescolano a templi Hindu, e poi naturalmente numerose Moschee con un collage di elementi architettonici che spaziano dallo stile arabo fino a quello italiano, malgrado la popolazione rimanga comunque prevalentemente di religione e cultura islamica. Chiaro esempio di questa sinergia architettonica è anche Fort Jesus, la fortezza simbolo della città, fatta erigere dagli invasori Portoghesi nel 1593 e che ancora oggi domina l’ingresso del porto. Passeggiando sempre per la Città Vecchia, impossibile non accorgersi dei pittoreschi balconi che sporgono dagli edifici, o tanto meno delle facciate in legno decorato dei piccoli negozi che caratterizzano quello stesso labirinto di stradine e vicoli.
Come tutte le città portuali, ovviamente anche Mombasa è da sempre città di mercanti, ed in particolar modo arabi ed indiani. Numerosi sono ancora oggi infatti i mercati che colorano le vie principali, ed in tal senso come non trascorrere almeno un pomeriggio tra i negozi di Biashara Street (Strada del Mercato) dove, tra le altre cose, è possibile acquistare anche i popolarissimi kanga e kikoi. I kanga sono lunghi abiti di cotone utilizzati più che altro dalle donne, stampati con colori sgargianti e su cui spesso sono riportati anche slogan e frasi. Tra gli uomini invece diffusissimo è appunto il kikoi, un largo pezzo di cotone (o seta) a strisce colorate, drappeggiato intorno alla vita ed indossato come fosse una gonna. Meno capi di abbigliamento, ma più prodotti artigianali, riempiono invece i banchi del comunque altrettanto tipico mercato del legno di Digo Road, la via che di fatto segna il confine tra la parte vecchia della città e quella più moderna.
Tra le numerose sfaccettature di Mombasa c’è anche quella sociale. Dal 1969 lungo la costa nord della città è infatti sorto il Workshop Bombolulu, un progetto fortemente voluto dall’Associazione disabili del Kenya (APDK) e che consiste in un Centro Culturale che oggi dà lavoro ad oltre 150 artigiani-disabili, e dove vengono prodotti gioielli, stoffe stampate a mano, sculture in legno ed artigianato in pelle. Le realizzazioni del Workshop Bombolulu vengono vendute ed esportate in oltre 20 paesi e rappresentano uno dei più rilevanti prodotti d’esportazione keniana, oltre che un’ottima possibilità per numerosi disabili di superare le difficoltà derivate dai propri limiti fisici ed inserirsi attivamente nel resto della comunità.