DELIRIOUS MILAN
 
avant garde - di Allegra Albani
   
 

La festa è finita. Si è concluso pochi giorni fa, il 17 aprile, il Salone del mobile di Milano. L’evento degli eventi in fatto di design, quest’anno con una ricorrenza speciale: i suoi primi 50 anni.
Un labirintico intrico di appuntamenti dissipati su tutta la superficie cittadina. Un laboratorio continuo, ricco di appuntamenti, mostre, incontri, dibattiti, feste, ma anche negozi, piazze, strade, musei, case private, teatri, mercati, stand extemporanei. In un susseguirsi ritmico, scandito da luci al neon, oggetti futuristici, strani gadget, o esperimenti di musiche tridimensionali (vedi installazione di Ludovico Einaudi all’interno della mostra “Principia. Stanze e sostanze delle arti prossime” in Piazza Duomo – fino al 1 maggio). Quattro giorni, quelli che siamo riusciti a ritagliarci, all’interno della design week, alla ricerca di quello che ancora non avevamo visto.
« […] Caduti allora come in un labirinto, mentre credevamo di essere ormai alla fine risultò che eravamo ritornati come all'inizio della ricerca, e avevamo bisogno della stessa cosa che ci occorreva quando avevamo incominciato a cercare. » (Eutidemo, Platone)
Perché nella città che si fa metropoli è nella complessità che spesso si incappa. Complessità che, estendendosi oltre confini ben definiti, tracimando in uno sprawl continuo, perde i riferimenti. Come Teseo tra le stanze e le gallerie del “Dedalo”. E per uscirne vivi, anche noi, avremo bisogno di un gomitolo. Una strada nuova, un salto logico copernicano che ribalti lo stato delle cose. Un manifesto. Delirious New York , di Rem Khoolaas.
« Il delirio tecnicamente rappresenta un’imprevista uscita dal seminato […] delirante è ciò che oltrepassa i limiti imposti […] il delirio di New York è un vero delirio, radicale uscita dal solco. » Così l’architetto conclude la postfazione del suo libro.
In un contesto in cui la lingua dell'architettura e della città non riesce più a rimandare a un senso compiuto, il proposito di Koolhaas di fare un manifesto è rivoluzionario. La rivoluzione è da intendersi nell’aver inteso l’inservibilità del sistema dialettico, nel rifiuto di combattere la post modernità, nell’accettazione della crisi come condizione esistenziale. Il manhattanismo contiene in sè le coppie opposte: è rivoluzione e conservatorismo estremo, è destra e sinistra, contiene in sè la crisi e riesce a parlare lo stesso, anzi solo grazie a questa esperienza.
E se metropoli è sinonimo di crisi, che fare?
Potremmo prendere l’esempio di coloro che, accomunati dalla ricerca di una terza strada, oltre la corsa del progresso o il suo abbandono, hanno lasciato la città, per costruire una felicità pratica, terrena, spesso ecologica, a cui è impossibile rimanere indifferenti.
Come Marina Marini e le due figlie, insieme al marito Roberto, che gestiscono l’azienda agricola biodinamica Colle Baeto, sul Monte Paganuccio. O la Casa-Atelier dello scultore romano Pino Mascia a Canavaccio, vicino ad Urbino, dove insegna all’accademia delle Belle Arti. O come Tommaso e sua moglie Alessandra, lei tedesca, lui pesarese, che hanno trovato rifugio in un casolare sul colle delle Cesane nel tentativo di ricavare un miele perfetto.
Sono solo alcune delle tante possibilità.

   
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