DAL GLOBALE LE SFIDE FUTURE
Le vicende politiche di oggi tra la zavorra del passato
e un futuro da inventare
  politica - di Luisa Laurelli    
 
Le vicende di un nord Africa in subbuglio tra le rivolte per il pane e la voglia di libertà, rendono il mondo globalizzato più piccolo e pieno di contrasti. I nuovi mezzi di comunicazione amplificano la conoscenza, le immagini delle grandi “opulente” metropoli riempiono la testa di milioni di persone svantaggiate del terzo e quarto mondo, dove ancora si muore per fame o per malattia. La maggior parte dell’umanità vive nelle grandi aree metropolitane dei diversi continenti, c’è lo spopolamento delle campagne e aumentano gli svantaggi tra nord e sud, tra categorie sociali in particolare donne e giovani. I barconi carichi di immigrati che fuggono dai Paesi del nord Africa, i violenti scontri e le rivolte di popoli che hanno cacciato dittatori al potere da venti o trenta anni, ci parlano di un mondo globalizzato in cui le prospettive di un futuro diverso appaiono possibili solo nelle grandi capitali europee o nei paesi industrializzati del mondo. Dal punto di vista politico è interessante sottolineare come milioni di persone aspirano al diritto, alla libertà e alla democrazia da conquistare anche a costo della vita. Perciò si chiede a viva voce l’intervento solidale dell’Europa e delle grandi nazioni del mondo. Le adunate oceaniche contrapposte alle armi della polizia o dell’esercito che uccide e imprigiona le persone, ci rinfrancano perché tutti noi vorremmo avere un mondo governato democraticamente. Le proteste evocano però anche fenomeni gravissimi legati al terrorismo internazionale e all’integralismo religioso: essi potrebbero essere all’origine delle sommosse che potrebbero soppiantare i vecchi regimi con nuove dittature. Dall’attentato alle Torri Gemelle in poi, noi occidentali ci sentiamo minacciati da questi fenomeni e quindi siamo “stretti” tra il dovere della solidarietà internazionale e quello della sicurezza dei popoli. Le religioni non aiutano, anzi vengono usate sempre più per giustificare fenomeni sociali e politici che senza “interferenze” potrebbero avere un corso naturale ben diverso. Era molto più facile scegliere da che parte stare, per noi ragazzi che scendevamo in piazza in tutto il mondo “democratico ed evoluto” a fianco dei piccoli vietnamiti in guerra contro i grandi americani negli anni ’70, oppure per sostenere spagnoli, portoghesi, greci, cileni in lotta contro le dittature. Pensavamo di cambiare il mondo e qualche volta ci siamo riusciti. Dalle grandi città partiva il sostegno alle popolazioni più povere per estendere diritti fondamentali (partecipazione democratica, riscatto economico personale e collettivo, autodeterminazione delle donne vittime di repressione e arretratezza culturale).

Oggi è evidente la debolezza oggettiva in cui versano le grandi Istituzioni internazionali post seconda guerra mondiale, a cominciare dall’ONU, nate per evitare nuove guerre e garantire un nuovo equilibrio mondiale che andasse oltre i blocchi contrapposti. L’Italia “..ripudia la guerra..”, ice la nostra Costituzione, ed ogni volta che il Parlamento decide l’invio di missioni militari all’estero si deve conciliare ciò con il dovere della solidarietà verso le popolazioni oppresse. Veri e propri interventi militari nascono come missioni umanitarie ma in realtà coprono spesso interessi economici, scambi commerciali, vendita delle armi, cioè fatti economici a beneficio solo dei Paesi occidentali, ricchi e potenti. Altro che interesse per le persone e per le vittime!
Ma come risponde la politica italiana in questo momento dove è difficile stabilire cosa è bianco e cosa è nero? Cerca di impedire i flussi di immigrati definiti impropriamente “clandestini”, crea centri di raccolta e luoghi di costrizione dove vengono sospesi i diritti fondamentali, vende le armi e fa affari con Gheddafi, mette a disposizione le basi militari per attacchi aerei alla Libia, mentre ne finanzia le prigioni per i profughi del sub Sahara che subiscono violenze, sollecita i bassi istinti razzisti e xenofobi degli elettori italiani. Si recinta il mare per impedire quello che appare come un vero e proprio esodo biblico, anche di lunga durata! La crisi delle grandi Istituzioni internazionali rende più forte il ruolo delle città come amministrazioni locali più vicine ai cittadini: esse possono assorbire parte di questi grandi fenomeni migratori facendo incontrare la domanda e l’offerta di lavoro, per creare lavoro e affrontare i bisogni sociali di noi occidentali. Servono politiche di aiuto allo sviluppo; esportiamo saperi, tecnologia e cultura, per favorire il riscatto di milioni di donne e di uomini a cui dare un ruolo attivo nella società. In missione in Albania qualche anno fa da inviata dell’OCSE a fare l’osservatrice alle elezioni amministrative mi sono convinta della possibilità che pochi milioni di albanesi potessero essere agevolmente “adottati” da noi cittadini romani, e che con progetti mirati di breve/medio termine si sarebbe potuto realizzare il riscatto di un popolo. Senza interferenze esterne e in modo solidale.
   
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