Manhattan: The American Dream
  videoarte - di Francesca Pierucci    
 

“Il mio motto era “compra un quadro al giorno” e lo seguivo alla lettera. Passai tutto l’inverno negli studi degli artisti e dei commercianti di quadri per vedere cosa potevo comperare. Sapevano tutti che comperavo qualunque cosa su cui potevo mettere le mani, perciò venivano a cercarmi persino a casa. Una volta mi portarono addirittura dei quadri a letto, la mattina prima che mi svegliassi.”
(Peggy Guggenheim, Una vita per l’arte, 1982)

Nei primi decenni del dopoguerra gli Stati Uniti si affermano come paese guida del mondo occidentale, consolidando sempre di più quell’idea dell’ “American Dream” che già dal XIX secolo aveva spinto molti ad abbandonare il proprio paese nella speranza di una vita migliore. Nel periodo tra le due guerre New York diventa quindi mèta ambita di importanti artisti europei, chi per scelta e chi perchè costretto a scappare dalle note persecuzioni naziste. Man Ray, Breton, Mirò, Dalì, Ernst, Mondrian, Masson, solo per citarne alcuni. Grazie anche al loro apporto la cultura artistica americana viene modernizzata a tal punto da dare vita ad una proprio identità culturale e storico-sociale capace di proporre linguaggi artistici indubbiamente originali.
Grandi musei pubblici e privati diventano promotori di significanti iniziative che costituiranno lo slancio decisivo di quel processo di divulgazione e valorizzazione dell’arte moderna che di lì a poco ne avrebbe determinato l’indiscussa supremazia. Primo fra tutti fu senza dubbio il Museum of Modern Art, meglio noto come MoMA (www.moma.org), che ancora oggi è sede di una delle collezioni di arte moderna di inestimabile valore economico e culturale. Fu proprio il MoMA che nel 1938 organizzò la mostra sul Bauhaus (celeberrima scuola di architettura, arte e design tedesca aperta dal 1919 al 1933) e nel 1939 quella monografica su Picasso, esponendo per la prima volta negli Stati Uniti il tanto discusso dipinto della Guernica.
New York comincia così ad ospitare eventi di portata internazionale, formando una cerchia attorno al mondo dell’arte costituita non più solo dagli artisti, ma anche da critici preparati ed agguerriti, da scrittori di riviste, da collezionisti dinamici e da mercanti intraprendenti, forti delle nuove disponibilità economiche circolanti nel paese dopo la seconda guerra mondiale.
Personaggio carismatico fu senza dubbio la collezionista ed ereditiera Peggy Guggenheim, moglie del pittore Max Ernst e vera e propria mecenate di giovani artisti emergenti americani, che nel 1942 aprì la galleria Art of this Century. Lo zio di Peggy, Solomon R. Guggenheim, aveva fondato nel 1937 l’omonimo museo sulla 5th Avenue con lo scopo di esporre le avanguardie artistiche che si stavano affermando. Progettato da un architetto di fama mondiale quale Frank Lloyd Wright, è considerato ancora oggi un capolavoro dell’architettura contemporanea.
Negli anni seguenti il 1945 la “Grande Mela” è sede di quel fenomeno di importanza internazionale detto Espressionismo astratto, Action painting o Scuola di New York. Partendo dal Surrealismo europeo i pittori formulano un linguaggio nuovo tendenzialmente non figurativo accanto ad una considerazione dell’opera come luogo di trascrizione delle emozioni. Tale movimento scatenerà l’apertura di tutta una serie di scuole d’arte che contribuiranno in maniera decisiva alla formazione di quei nuovi artisti che daranno vita non solo a “manifesti” della nuova pittura contemporanea ma ad opere economicamente inestimabili. Indiscussi protagonisti di questa nuova corrente furono Jackson Pollock (1912-1956), che frequentò l’Experimental Workshop fondato da David Alfaro Siqueiros, Willem De Kooning (1904-1997) ed il russo Mark Rothko (1903-1970).
Con il tempo anche questo filone sembra esaurirsi. Il consumismo, le guerre in Corea e Vietnam, la lotta contro la discriminazione razziale, l’anticonformismo dei giovani fanno sì che dall’arte si esiga di più. Un qualcosa che si leghi in maniera inestricabile alla vita quotidiana ed alla comunicazione visiva delle opere: nasce così la Pop Art (diminutivo di Popular Art). Un’arte che ci è vicina grazie all’utilizzo di materiali e oggetti legati alla nostra vita di tutti i giorni tramite le tecniche del collage, dell’assemblage, dell’ingrandimento delle scale proporzionali. Fonti di ispirazione non sono più l’arte sacra, la storia, il mito bensì elementi “banali” quali la pubblicità, la televisione, i fumetti, i prodotti commerciali; non più il paesaggio classico ma la scena urbana in cui l’uomo è continuamente immerso. I caratteri formali e le tecniche della High art vengono contaminati con i codici della cultura di massa, la Low art, con l’ovvio risultato di un’arte spesso ironica, colorata, che rispecchia in pieno la società americana degli anni 60. Ecco che dalle Madonne con Bambino si passa alle serigrafie della “Campbell’s Soup” e di Marylin di Andy Warhol. Dai grandi cicli pittorici alle tele riprese dai fumetti di un artista newyorkese come Roy Lichtenstein.
Nessuna città come New York dunque ha mai rappresentato l’incarnazione di quel sogno americano in cui tutti speravano. In migliaia si trasferirono per cercare fortuna, per diventare qualcuno e solo lì tutto ciò sarebbe stato possibile. Una metropoli dinamica, energica, piena di potenzialità e ricchezza, “the city that doesn’t sleep” come l’avrebbe chiamata Sinatra anni dopo. Senza ombra di dubbio, comunque, per molti artisti fu il necessario trampolino di lancio per un successo che ancora oggi è riscontrabile nelle cifre da capogiro realizzate dalle opere contemporanee in asta.

   
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