L’arte è il frutto di una continua evoluzione, di un susseguirsi di innovazioni e idee, tecniche e stati d’animo. Se ci si ferma a riflettere sulla storia dell’arte, appare piuttosto evidente come ciascun prodotto derivi da un processo di causa ed effetto destinato a non avere mai fine. Ogni artista si impegnò a differenziarsi dai suoi predecessori, chi di proposito per assicurarsi fama eterna e chi solamente grazie al proprio genio. Ognuno a modo suo fu un esempio di innovazione, di ispirazione per altri artisti o addirittura per correnti intere. Fu ammirato, criticato, sopravalutato, deriso? Poco importa, perché ciò che conta è che fu degno di nota e creò il presupposto necessario per gli eventi che vi seguirono. Sarebbe quasi impossibile poter elencare esattamente gli artisti che diedero un impulso nuovo alla storia dell’arte, ancora di più se si volesse specificare di che tipo di innovazione si sia trattato (tecnica, soggetto, o stile?). Pertanto ne prenderò uno fra tutti: Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571-1610), meglio noto con il solo nome del suo comune d’origine. Troppi studi e troppe ricerche sono stati condotti su questo artista “maledetto”. Ciò che ne emerge di negativo è allo stesso tempo ciò che lo rende così misterioso e affascinante: un carattere rissoso, i guai con la legge, una presunta omosessualità, una vita dedita ai vizi. Eppure fu un genio assoluto.
Caravaggio fu il primo a distaccarsi in maniera netta dal concetto platonico del “bello ideale”, dalla ricerca della perfezione e della spiritualità nel concetto e non nella realtà; si allontanò da maestri indiscussi quali Raffaello e Michelangelo. Sentiva l’esigenza di rappresentare la natura così com’era, scomoda sicuramente, spesso cruenta, ma vera, tangibile, familiare.
Non usò mai il disegno preparatorio per poter cogliere nei minimi dettagli le imperfezioni umane e la parte non colorata della vita, quella che i pittori precedenti avevano cosi ostinatamente voluto tenere nascosta. Nessuno prima aveva mai osato rappresentare i santi prendendo come modelli uomini del popolo. Nessuno si era mai spinto a ritrarre la Madonna usando come modella una prostituta, specialmente in un contesto come quello in cui vive di piena Controriforma, specialmente a Roma. Fu criticata la sua “Madonna dei pellegrini”, in cui i viandanti avevano i piedi fangosi; fu rifiutata la sua pala con la “Morte della Vergine”, accusata di essere immersa in un ambiente troppo umile, di mancare di osservazione alla verità storica (in quanto la Vergine fu rappresentata giovane), e di essere oltraggiosa poiché il ventre rigonfio fece sorgere il dubbio che avesse preso a modello una prostituta annegata nel Tevere.
Caravaggio esce completamente dagli schemi: ecco quindi che la “Canestra di frutta” presenta una mela bacata e le foglie rovinate. Apparentemente fresca, la frutta in realtà ha già cominciato a marcire; vengono così paragonate la caducità della vita umana a quella dei frutti e dei fiori. Fuori dagli schemi sono anche il volto contratto in un urlo carico di angoscia della “Testa di Medusa”, la scelta di mettere al centro della composizione del “Riposo durante la fuga in Egitto” l’angelo visto di spalle, e le terga del cavallo nella “Conversione di San Paolo”. Tutte le sue opere si concentrano su una terribile “verità”, una verità ottica che viene messa in risalto dall’uso magistrale che faceva della luminosità, dei contrasti di luce e ombra. Una luce che costruisce essa stessa le forme e sottolinea la drammaticità di alcune scene.
Nonostante il favore dei collezionisti più colti, la turbolenta vita privata dell’artista lo mette spesso in condizioni difficili, costretto a scappare tra Roma, Napoli, la Sicilia, e Malta. Mentre cresce la sua fama, aumentano anche le gelosie ed i contrasti all’interno dell’ambiente artistico; non a caso non ebbe una scuola né allievi diretti. Eppure pochi pittori esercitarono un’influenza pari a quella di Caravaggio, sia per intensità che per vastità. Fu riccamente imitato in Italia ma soprattutto all’estero dai fiamminghi, che riconobbero in lui quell’abilità nella resa analitica e nell’uso del chiaro-scuro mai visti prima. Egli rappresentò l’innovazione assoluta in quel periodo della storia dell’arte. Ma ogni genio ha bisogno di stare nel suo tempo per essere considerato tale e per diventare, nel futuro, leggenda. Se fosse nato due secoli dopo sarebbe diventato l’eroe indiscusso dei Romantici. Se avesse dipinto nei giorni nostri, invece, cosi lontani dal perbenismo di una volta, probabilmente non lo avremmo sentito mai neanche nominare. Quando si dice che il tempismo è tutto.
In occasione del quadricentenario dalla morte del pittore è ora in corso fino al 3 luglio una mostra al Museo Diocesano di Milano, “Gli Occhi di Caravaggio”, a cura di Vittorio Sgarbi. (www.occhidicaravaggio.it)