IN FONDO AL MAR   sport - di Riccardo Testa  
 
 
La natura, per innata vocazione, è fonte di vita e dell’atavica voglia dell’uomo di farne parte. Ci sono scorci bellissimi, sulla terraferma, dove gli elementi della natura spiccano immensi davanti ai nostri occhi, lasciandoci un senso di pace e conciliazione sempre più raro per l’uomo moderno. Ma ci sono posti, in natura, dove la mano dell’uomo è appena accennata e dove trionfa ancora la vita in senso assoluto. Non sto parlando di lande desolate dall’altra parte del mondo, ma di un mondo parallelo così vicino ma così lontano dalla maggior parte di noi; il mondo sommerso. Per entrare a far parte di questo mondo, intervistiamo un subacqueo con brevetto internazionale PADI “Open Water Diver”, il Sig. Mauro. Partiamo dal principio; cosa l’ha spinta ad immergersi per la prima volta? “La curiosità per quel mondo soltanto immaginato, visto tramite reportage o documentari, ma soprattutto il voler provare la sensazione dell’assenza di gravità e della vita in 3D”. In che senso? “Come tutti sanno, per l’uomo il mondo è in 2D, perché l’attrazione gravitazionale ci attrae al suolo. In acqua, come del resto anche in aria, l’attrazione è inferiore e si ha la sensazione, indescrivibile, di fluttuare come astronauti nello spazio”. Quindi un grande impatto emotivo; “Certamente, come dico spesso, già nei primi metri di immersione si spalanca davanti agli occhi del subacqueo un’esplosione di colori e di vita che l’occhio umano non ha l’abitudine di ammirare”. Ad esempio? “Prendiamo una medusa; calpestarla sulla spiaggia, magari sbattendoci i piedi, la rende un animale del quale non si ha grossa considerazione. Guardarla, invece, muoversi in acqua con una grazia unica nel suo genere, magari accarezzandole la calotta, ovvero la parte non urticante, ti mette in condizione di riconsiderarla ed apprezzarla come parte di un mondo animato e non come un ostacolo da evitare durante una passeggiata lungo la spiaggia“. L’esperienza più gratificante del suo vissuto nel sommerso? “L’esplorazione di un relitto, non tanto per volontà di scoperta, ma perché nell’immaginario collettivo una nave od un aereo che affondano smettono di ospitare la vita per adagiarsi, ormai inutili, sul fondo del mare. Invece, le lamiere contorte di un relitto ospitano una quantità infinita di organismi marini la cui vita è assicurata, ora, dalla colonizzazione del relitto stesso, nel quale ricreano il loro habitat naturale”.
 

 
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