Riconciliazione
Sacrificarsi in nome di un legame primordiale scomparso

  turbamenti - di Gian Carlo Grassi  
 
 
E’ difficile oggi scrivere qualcosa che abbia un carattere distintivo riguardo a temi che si prevede, con la massima certezza, abbiano un’attualità speciale perché durevole nel tempo. Si tratta di temi cari a tutti, all’umanità come al mondo in generale, ed ecco che tutte le persone dotate di un livello minimo di cultura sanno che non si può prescindere dalla riflessione, seppur sporadica, sulla propria responsabilità rispetto all’ambiente e alle generazioni future che lo abiteranno.
E allora che dire? Perché nonostante la totale (o quasi) presa di coscienza, raggiunta attraverso l’inevitabile e talvolta involontaria campagna di sensibilizzazione, fatta di eventi tragici e di necessarie speculazioni di ogni genere su tali eventi, ancora non siamo riusciti, se non in parte, a passare dalla teoria alla prassi?
Quello che ci muove è un sentimento sincero ma non abbastanza potente da spingerci all’azione, ad un’azione che sia radicale e coerente con quello che davvero abbiamo capito, ovvero che siamo diventati per la natura più pericolosi rispetto a quanto essa lo sia mai stata per noi. Va da sé, secondo una banale regola sillogistica, che essendo noi parte integrante della natura, noi non siamo mai stati così pericolosi per noi e questo a causa del nostro stile di vita, dove vivere significa consumare. Tutto. Qui non ci si riferisce al consumo giornaliero di calorie ma a tutto quello che l’individuo occidentale spende in termini di risorse energetiche e alle tecnologie a loro applicate che le rendono oggetto di strumentalizzazioni economiche.
Col senno di poi penso a quel tempo in cui discutere e proporre un modus vivendi alternativo, svincolato dallo sfruttamento tecnico della natura, fu davvero segno di lungimiranza. Oggi cosa è cambiato? Verrebbe da dire niente ma non è vero. Oggi discutere e proporre il modus vivendi alternativo è diventato un argomento comune, quasi banale, e questo certamente è un segnale positivo ma simultaneamente inquietante. Ci rendiamo conto della nostra impotenza perché siamo nel bel mezzo del turbinio di abitudini che il mondo in cui siamo nati e cresciuti ci ha preparato e alle volte anche imposto, quel mondo che è una macchina di interessi che si sforza per incatenare e guidare le pulsioni del singolo, dalle più epidermiche alle più primitive.
La vera novità sarebbe vivere in maniera alternativa ma non possiamo in quanto significherebbe rinunciare a noi stessi e allora decidiamo di fare qualcosa che sistemi e metta a posto la coscienza: si prendono le bottiglie di vetro e si vanno a gettare nei loro bidoni, si prende la cartella elettorale e si va a mettere una croce contro le centrali nucleari.
Bene, siamo bravi!
E’ sufficiente? No!
Non è mia intenzione minimizzare i meriti di chi quantomeno ci prova né sprofondare in previsioni catastrofiche sulla specie destinata all’autodistruzione. Mi voglio soltanto concentrare sui pensieri, su quei pensieri che spesso sono molto più grandi e propositivi della materialità sensibile (che non è altro che il banco di prova, ciò che effettivamente conta) e che ancora non sono riusciti ad arginare la vittoria della civilizzazione sulla natura. Mi piacerebbe che tante più persone dessero voce a tali pensieri concretizzandoli in gesti che abbiano autenticamente quel sapore di sacrificio per un bene che oggi è invisibile. Non è necessario scendere nello specifico in quanto tutti noi sappiamo che cosa e in che misura è distruttivo, basta soltanto ascoltare quello che già inesorabilmente abbiamo integrato e rinunciare, dunque agire in controtendenza rispetto alle nostre esigenze e farlo ancora e ancora modificandosi e modellandosi intorno al mondo e alle sue di esigenze fin quando queste non aderiranno completamente con le nostre ristabilendo quell’armonia andata perduta tra l’uomo e la natura.
 
 
- la rivista on-line (pdf)
- eventi & recensioni
- profili artisti