La Land – Art: una forza della natura
  arti visive - di Francesca Pierucci  
 
 

Dalla metà degli anni sessanta, parallelamente a tutti gli altri filoni artistici a noi ben noti, negli Stati Uniti nasce la Land art, dal titolo di un film di Gerry Schum del 1969, anche nota come Environment art o Earth works, dal titolo di una mostra del 1968 (ispirata ad un romanzo di fantascienza di Brian W. Aldiss) presso la Dwan Gallery di New York. Come la Pop Art, l’Happening, la Body Art, la Performance Art, l’Arte Povera, l’Arte Concettuale e via discorrendo, anche questa si sviluppa in un contesto di forte reazione e sfiducia nei confronti dello Stato e presenta come obiettivo principale quello di uscire completamente dagli schemi tradizionali e di creare un nuovo linguaggio artistico. Gli artisti della Land Art operano in grandi spazi naturali e incontaminati, tra cui laghi, deserti, canyon, praterie, montagne, soprattutto nel crocevia di New York e di luoghi nell’Ovest del paese. A chiunque appare immediatamente evidente la maestosità della natura, la sua imperturbabilità e l’immensa forza di cui dispone, come purtroppo abbiamo potuto constatare nelle numerose tragedie di cui siamo stati testimoni mediali. I land-artisti sono totalmente estranei all’intento di creare opere da inserire nel solito mercato dell’arte; non il comune scopo di lucro bensì la volontà di introdurre un nuovo dialogo con la natura, concepita come potrebbe fare un pittore con una tela. Ciò a cui aspirano è di distaccarsi in maniera netta dal concetto classico dell’arte e dall’obbligo di dover esporre esclusivamente all’interno di musei. Ricollegandosi agli interventi millenari che l’uomo ha fatto su di essa trasformando il paesaggio in base alle proprie esigenze, essi operano in maniera invasiva e brutale, spesso senza tenere conto delle conseguenti problematiche ambientalistiche o ecologistiche.
Nella volontà di differenziarsi dall’artificialità e freddezza tipiche delle metropoli essi si allontanano dai seguaci della Pop Art. L’immediatezza del messaggio che trasmettono le opere di questi ultimi non può essere riscontrabile invece nelle realizzazioni dell’Environment art, certamente di grande impatto visivo, ma che avendo a che fare con la natura, hanno tempi e processi con tempistiche decennali se non secolari.
Per questo agiscono su larga scala, creando opere naturalmente sublimi che sembrano quasi frutto della volontà divina, e che già a colpo d’occhio ci trasmettono un’indiscussa superiorità e dunque la nostra “inutilità” fisica rispetto a ciò che abbiamo di fronte. A tale proposito, principio cardine della Land-art è l’obbligo della visualizzazione delle opere dal vero: dall’alto essa crea in noi la sensazione di essere spettatori di un teatro naturale che ci appare però distaccato, mentre quella dal basso ha l’intento di renderci partecipi, quasi un tutt’uno con l’ambiente che ci circonda. Sembrerebbe di “camminare attraverso lo spazio”.
La “Spiral Jetty” di Robert Smithson (1938-1973) è un’enorme spirale formata da basalto nero, rocce calcaree, alghe e terra, collocata a pelo d’acqua sulle rive del Grande Lago Salato nello Utah. L’artista ha voluto trasformare il millenario aspetto del luogo attraverso un’incisione artificiale di un segno primordiale quale è la spirale, simbolo della continuità della vita, riscontrabile nell’acqua, nel cielo e nel mondo animale. La natura ricopre quindi un ruolo non solo come fornitrice del materiale di cui è composta l’opera ma anche come protagonista principale del processo che l’artista ha innescato. Egli ha voluto quasi “tatuare” il paesaggio ma in maniera non definitiva, poiché gli elementi naturali di cui è composta la spirale sono soggetti a erosione, seppur lentissima, di vento e acqua.
Con lo stesso spirito è nata anche l’idea di Walter De Maria “Lightning fields”. Assemblata tra il 1971 ed il 1977 ad Albuquerque nel New Mexico, l’opera è composta da 400 pali d’acciaio inossidabile alti 6 metri con punte rinforzate, disposti in uno schema geometrico su di un’area con un’estensione totale di 161 x 100 metri. L’orizzontalità del terreno si contrappone cosi alla verticalità dei pali che tendono a scintillare di giorno e ad illuminarsi di notte grazie alla luna, creando cosi degli effetti cromatici e luministici strabilianti. Tuttavia, la piena realizzazione artistica è raggiunta durante i temporali più violenti quando i fulmini attratti sembrano quasi creare un ideale collegamento diretto fra il cielo e la terra. Uno spettacolo incredibile. Fuochi d’artificio senza artefici. Una vera forza della natura.

   
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