Speranze e illusioni.
La successione di Fibonacci.

  turbamenti - di Gian Carlo Grassi  
 
 
Qui si parla di una sequenza di numeri interi, che è un teorema, una formula con una moltitudine di proprietà che negli anni ha trovato tante applicazioni e generalizzazioni nella matematica pura. E’ poi riuscita ad andare al di là dei suoi confini teorici per assumere un carattere pratico, spaziale, quando l’abbiamo riconosciuta e scoperta nel disordine della realtà. Siamo così giunti a scorgere la possibilità di una geometrizzazione dell’esistente in quanto costituito da un’infinità di forme che sembrano condividere un comune denominatore, come se la natura non operasse a caso ma secondo degli algoritmi complessi che ce la renderebbero calcolabile.
L’idea di una sistemazione del caos (a questo punto nient’altro che apparente) e del tutto-esperibile ha necessariamente affascinato la curiosità di molti perché per intendere abbiamo bisogno di organizzare e soprattutto perché siamo spinti da una pulsione sconosciuta a rendere tutto oggetto di scienza. Tutto deve poter essere conosciuto non soltanto intuitivamente ma scientificamente. In caso contrario siamo gettati in quella condizione di disagio dove vengono resi evidenti i nostri limiti. Mi riferisco a quelle che Kant chiamò idee trascendentali, che costituiscono la metafisica tradizionale, ovvero il bisogno della ragione umana di andare oltre se stessa, oltre l’esperienza, per riuscire a darsi una spiegazione e a collocarsi. Facciamo fatica a pensare che siamo qui per caso e che l’esistenza del mondo sia pura contingenza. Da qui le religioni hanno tratto e traggono la loro fondazione e la loro giustificazione, nell’esigenza troppo umana di trovare un senso, cioè che proveniamo da un atto creativo e che ci stiamo dirigendo verso una direzione determinata con uno scopo preciso. A poco a poco, con l’avvento della modernità, abbiamo scoperto il metodo scientifico al quale abbiamo chiesto di svolgere la stessa funzione. La possibilità di poter cogliere tutto, per mezzo di riscontri oggettivi nell’esperienza, ci ha rinvigoriti ed ha alleviato quella sensazione d’angoscia che sta nel rifiuto dell’essere esseri naturali, dunque limitati in quanto soggetti a delle leggi. A volte ci crediamo davvero, ci convinciamo della nostra potenziale onniscienza che ha come immediata conseguenza l’ideale potenziale onnipotenza.
Quello che qui sono a dire non è soltanto quanto sia naturale la vocazione rivolta a quello strumento di potere che è la conoscenza. Piuttosto a me interessa evidenziare l’inquietudine data dall’ignoto che ha sempre bisogno di essere riempita con delle speranze che sono esigenze e che significano nient’altro che aver fede verso qualcosa. Una volta è un ente superiore e la volta dopo è il progresso verso una conoscenza sempre più perfetta nell’illusione che un giorno avremo le risposte. Non importa. Basta che ci sia quel qualcosa dove scaricare l’insoddisfazione della nostra pochezza.
E’ così che quando riusciamo a coniugare le “stranezze” del mondo attraverso paradigmi propri della scientificità, dunque che aderiscono a proprietà puramente razionali, ci sembra di aver fatto un ulteriore passo in avanti verso la soluzione di tutti i problemi insolvibili della metafisica.
Ecco: siamo fuori strada perché quel fine non esiste.
Qualcuno disse che la miglior risposta a certe domande è il non porsi quelle domande. Io non sono così estremo.
Credo che l’unica risposta certa è che ci saranno sempre domande che non avranno una risposta certa. L’idea è che l’ignoto e quel senso d’angoscia che lo accompagna sia una perversione dell’essere umano alla quale non può sottrarsi. La solidità della prova scientifica ovvero il frutto di quelle soluzioni che affondano le proprie radici direttamente nell’esperienza non riuscirà mai a trascendere se stessa, l’esperienza appunto.
E’ in questo senso di frustrazione che scorgo il senso e la sua verità inafferrabile, nel momento in cui smetto di calcolare il mondo e penso, ad esempio, l’infinito in uno stato di vertigine che offusca la mente e sembro rendermi conto di ciò che sono.
 
 
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