L’IDENTITA’ TRAVESTISTA:
come ritrovarsi nello specchio

  moda - di Laura Epifani  
 
 
Chi da bambino non si è infilato almeno per una volta nel guardaroba della mamma o del papà uscendone come un lillipuziano caduto negli abiti di Gulliver alzi la mano! La volontà di uscire da se stessi per esplorare la possibilità di ritrovarsi in diverse e stravaganti identità ci accompagna sin dal principio dei tempi. Un germe votato al desiderio di evasione che cresce insieme a noi e che a seconda delle proprie attitudini ed inclinazioni tendiamo a declinare nei più svariati modi. Eh sì, perché il gioco del travestimento non ci abbandona mai, possiamo far finta di ignorarlo o di reprimerlo, ma zitto zitto, quatto quatto, continua ad abitare i luoghi della nostra fantasia. Non per forza però dobbiamo considerare il travestimento come un qualcosa che necessariamente ci allontana da ciò che siamo, anzi... indossare i propri panni è forse il travestimento più ardito e complesso che possiamo comporre!
Nel momento in cui la nostra scelta cade su un capo piuttosto che su un altro aggiungiamo un nuovo pezzettino all’identità della nostra immagine, che può essere per alcuni geometricamente definita come un puzzle da incastrare, per altri assolutamente malleabile come un panetto di pongo da modellare. In entrambe i casi, ciò che facciamo è giocare in maniera più o meno estrosa con noi stessi e la moda chiaramente rappresenta lo strumento di questo continuo gioco.
Gli abiti a volte coprono, altre svelano, nascondono o manifestano, affermano o confondono.
Prendiamo ad esempio un personaggio che tutti conosciamo: Cenerentola. Cosa ne sarebbe stato del suo destino di principessa senza l’ausilio del vestito color cielo dalla crinolina spumeggiante e della scarpetta di cristallo? Parliamone... la sua bellezza e la sua bontà d’animo sarebbero rimaste nei secoli dei secoli celate sotto gli abiti da sguattera, per buona pace della crudele matrigna e di tutti i detrattori delle fiabe a lieto fine.
L’abito fa quindi il monaco, o in questo caso la principessa? Non me la sento di dare una risposta affermativa, ma sicuramente la nostra immagine rappresenta il più immediato mezzo di comunicazione che abbiamo a disposizione e sarebbe un errore sottovalutare l’importanza di questa realtà.
Nell’identificazione delle sub-culture che si sono avvicendate negli ultimi decenni, uno dei mezzi di riconoscimento distintivi e più immediati è rappresentato proprio dall’abbigliamento, che veniva utilizzato come simbolo di appartenenza e di richiamo. Una camicia avvitata indossata su pantaloni a zampa d’elefante ed ecco che venivi additato come un seguace del “Flowers Power”; una cresta policroma tenuta in piedi da ettolitri di gel ed eri sicuramente un fan dei Ramones! Al giorno d’oggi è molto più difficile seguire questo ragionamento, in virtù del fatto che quelli che una volta venivano considerati dei simboli d’appartenenza sono stati inglobati dalla società di massa e commercializzati, perdendo gran parte del loro primordiale significato. Proprio in virtù di questa “sdrammatizzazione” oggi siamo liberi di interpretare più stili contemporaneamente, anche molto eterogenei tra loro, senza che questo dia una connotazione precisa di noi a chi ci sta davanti.
Con il gioco delle maschere possiamo sviare o indirizzare l’attenzione sui nostri più diversi stati d’animo, possiamo risultare leggibili o indecifrabili, giocare la nostra partita a carte scoperte o barare. L’importante è non perdere di vista il fatto che il reale valore risiede nel contenuto avvolto dalla forma, che per quanto possa essere studiata e curata, mantiene pur sempre i suoi lati di trasparenza.
 



 
- la rivista on-line (pdf)
- eventi & recensioni
- profili artisti