Dentro e Fuori.
  turbamenti - di Gian Carlo Grassi  
 
 
L’evasione di carattere soggettivo-psicologico è certamente una valida strategia per rifuggire lo stress e per oltrepassare l’angoscia semplicemente tagliandola fuori, sospendendola per un periodo che avrà una durata grosso modo articolata dalla proporzione tra la nostra spontanea capacità di evasione e il peso effettivo di ciò da cui s’intende evadere. In altre parole, alterniamo momenti in cui siamo pervasi da ciò che ci affligge (o in ogni caso da ciò che concentra su di sé le nostre attenzioni) a momenti in cui riusciamo ad alleggerire il carico gettando lo sguardo fuori da noi stessi.
Estendendo la disamina fino ai residui ultimi inerenti al contenuto scopriamo che l’evasione da sé stessi si può concepire in una duplice forma: quella spaziale e quella temporale. La prima consiste nel cercare rifugio altrove: nel mondo, in un caffè con un amico, in un libro, andando al cinema. Nella seconda invece rimaniamo dentro noi stessi e quello che evitiamo è il presente, proiettandoci e ricercandosi nel ricordo di un passato di cui si ha nostalgia o in un possibile futuro che congetturiamo essere migliore.
Il rischio che però corriamo è quello di perdersi.
E’ innegabile che, quale spontaneo meccanismo di difesa, questo sistema, in qualsiasi forma ne disponiamo, rappresenti un ottimo deterrente contro la sofferenza e le questioni più spiacevoli che la vita ci impone di affrontare; tuttavia è vero anche che la comprensione di quello che siamo, di quello che vogliamo dal mondo e che pretendiamo da noi stessi, avviene proprio fronteggiando quei momenti che vorremmo evitare ma che non possiamo e che trascinano con sé una portata di realtà troppo grande per essere arginata. Quelle difficoltà ci costituiscono, o comunque ci costituiranno nel modo secondo il quale le abbiamo affrontate. Qualsiasi cosa ci accada (qualsiasi!), che lo si voglia o meno, lascia dietro di sé una traccia e sono proprio gli eventi significativi che avranno bisogno di un occhio di riguardo in quanto è dalla qualità della loro traccia che dipende, nel grosso, quello che saremo e come staremo domani.
E’ qui che sta il punto. Lasciar cadere tutto nell’oblio non si può perché l’oblio non esiste. Si tratta piuttosto di una stratificazione dove non c’è nessun buco nero dove poter gettare le cose affinché scompaiano, né tanto meno un lasso di tempo, determinato o indeterminato, capace di strappare via le esperienze che abbiamo vissuto. Fuggirne significherebbe fuggire da noi stessi perché in realtà noi siamo quelle esperienze. Fuggire da noi stessi non è qualcosa di propriamente impossibile ma è semplicemente qualcosa privo di senso poiché si tratta logicamente di una contraddizione in termini.
Quello che si dovrebbe fare è capire che i due elementi dell’apparente dicotomia essere pervasi-evadere non sono altro che due variabili della stessa funzione che è rappresentata da noi che ci scontriamo con la realtà e che ci muoviamo al suo interno e combattiamo ora là fuori e ora qua dentro. Oscilliamo. Ognuno ha la sua storia e il suo metodo nel portarla avanti e a volte sembra di non avere equilibrio, di essere o troppo al di là o troppo al di qua. L’obiettivo sta nel cercarlo, ogni volta, perché il noi di domani dipende da questa cosa di oggi e l’augurio è rivolto verso un’armonia e una tranquillità tra leggerezza e consapevolezza.
 
 
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