“Se l'uomo può vivere solo una vita, è come se non vivesse affatto”: nell'arte no.
Lo “Stato” della letteratura:
la verità umana tra pulvis et umbra

 
letteratura - di Christopher Pacioni
   
 

“Io non sarei un poeta: sarei, semplicemente, un dolce e pensoso fanciullo”.

“Arte”, “letteratura”: nomi che da sempre risuonano nella storia dell'umanità come una leggera, seppur imprescindibile, musica di sottofondo. Qualcosa di evanescente, quasi onirico, nella dimensione della realtà attuale. Spesso si sente parlare della “condizione del letterato”, la maggior parte delle volte senza sapere che questo è un tema antichissimo e con millenni di vita. Protagonista, questi, di incredibili fluttuazioni, da periodi di massimo splendore a periodi di ombra, anche se mai di decadenza. Si pensi alle luci del Rinascimento o dello stesso Illuminismo, ma prima ancora si guardi al tempo dell'Impero Romano. Un'Istituzione che ha costruito la sua grandezza su un fiorente entourage di letterati, primo fra tutti Virgilio che ha fornito ad esso una storia e una legittimazione ideologica. Andando avanti è venuta meno, per necessità politiche, la conditio sine qua non di tali figure: la libertà di espressione e di pensiero. Da qui le voci satiriche di Marziale e Giovenale o vicende come quella di Seneca che dimostrano come quella del letterato sia una vita tutt'altro che facile.

Arriviamo all'epoca contemporanea. Cambia la società, cambiano i problemi. L'avvento della società borghese e la nuova etica utilitaristica mescolano di nuovo le carte in tavola. E' venuto ormai meno il problema della “professione del letterato” dai tempi di Petrarca, il primo ad aver dedicato tutta la sua vita alla poesia. Ma in un mondo in cui domina il lavoro frenetico e la corsa al denaro, dedicarsi alla sfera lirica dell'esistenza diviene quasi una vergogna, fino a trasformarla in un'attività umbratile e indegna. Il disagio derivante dal condurre una doppia vita non ha impedito comunque a Svevo o a Kafka di creare romanzi incantevoli e unici, fornendo uno specchio del loro microcosmo attraverso le vicende di uomini immersi nel mondo suddetto.

Oggi lo stato della letteratura è un coacervo di tutte queste situazioni e, nella maggior parte dei casi, fortunatamente esula ancora dal magma mediatico, troppo impegnato con strapagati e montatissimi atleti o politici sguazzanti in questioni futili e letti d'elite. In alternativa, qualcuno è ancora in grado di estraniarsi dalla pesantezza della vita e plasmare la “leggerezza” a soli colpi di penna. Emblema di questa capacità è ormai Milan Kundera: romanziere, saggio, filosofo. Il suo più celebre romanzo, “L'insostenibile leggerezza dell'essere”, mette in scena il dilemma dell'oscillazione continua dell'uomo tra essere e dover essere, tra leggerezza e pesantezza.

Il fuoco di una passione erotica e tormentata è la cornice di un intreccio di 2 coppie nate da semplici coincidenze e sviluppatesi in un'atmosfera cupa e claustrofobica. L'autore, dal suo canto, dilata il tempo con le sue riflessioni, condensate in pensieri dal profumo di sententia senecana, e crea aria intorno alla vicenda. “L'uomo senza saperlo compone la propria vita secondo le leggi della bellezza anche nei momenti di più profondo smarrimento”: è resa così tangibile e perfettamente comprensibile la leggerezza dell'essere, che diviene in un batter d'occhio il senso della vita.

I ritratti appena delineati sono solo alcuni dei tratti fondamentali di un dipinto molto più grande: la storia della letteratura. Un ramo dell'arte che risulta essere metafisico e metatemporale: l'espressione stessa della leggerezza. Un aspetto della sua vita in cui l'uomo ha davvero realizzato una bolla indistruttibile dall'azione corrosiva della fuga temporum. Non si parla quindi di “stato”, ma di “Stato” della letteratura: una realtà parallela ad ogni altra che corre in linea retta a fornire lo specchio più nitido dell'animo umano.