Visione, creazione, innovazione di
Fabrizio Gifuni

  teatro - di Gabriele Mazzucco  
 
 
Prendi alcuni testi di Pier Paolo Pasolini ed uno di Giorgio Somalvico; lavorali insieme a Giuseppe Bertolucci ed intitola il tutto “Na specie di cadavere lunghissimo”. Ti chiami Fabrizio Gifuni e sai quindi fare bene il tuo mestiere, quello dell’attore; la storia in questione potrebbe già finire qui, semplicemente, tra gli applausi … invece è solo il primo capitolo. La seconda parte è spiazzante (apparentemente).
Qui la lente d’ingrandimento svela le opere di Carlo Emilio Gadda, ed il lavoro prende il titolo de “l’Ingegner Gadda va alla guerra o della tragica istoria di Amleto Pirobutirro”, sembra una storia diversa dalla precedente ed invece non lo è. Due letterati immensi, figure gigantesche, diverse da loro in tutto, eppure entrambe con un sentimento grande almeno quanto loro: l’amore furioso per il loro paese. Artisti pronti a lavorare quotidianamente sulla demolizione del loro io ( Pasoli e Gadda ) pur di poter esprimere giudizi su ciò che li circondava senza risparmiare niente o nessuno, compresi se stessi.
Ecco quindi la vera intenzione di Fabrizio Gifuni: il teatro e l’opera teatrale come “gesto politico”. Gifuni traccia una mappa lucida del nostro paese, in un momento storico delicato come quello che viviamo oggi, partendo da un durissimo lavoro sui testi. Il teatro vissuto come gesto politico senza la voglia di dichiararlo al mondo ma semplicemente mostrandolo. Il teatro come scambio diretto di idee, nel rapporto naturale che si instaura tra attore e pubblico, oggi ugualmente a quanto avveniva tra oratore e comunità nella polis. Tradizione e innovazione, nel rapporto inscindibile tra quello che era e quello che sarà; evoluzione e creazione, nel movimento inarrestabile tra ciò che lentamente si modifica e ciò che sembra essere creato dal nulla nella sua nuova e spiazzante bellezza; osservazione e visione, come studio e fantasia, analisi e tentativo, volere e potere … tutto questo è Fabrizio Gifuni.

Sicuramente una figura affamata e folle del nostro panorama teatrale, come solo Steve Jobs poteva intendere.

 


 
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